Il valore del nostro welfare e della nostra città

14 Ago Il valore del nostro welfare e della nostra città

Il presidente della Papa Giovanni XXIII interviene sul dibattito cittadino legato alla proposta del sindaco di un manifesto sull’accoglienza e sul rispetto.

Un manifesto come quello lanciato dal sindaco Vecchi sulla gestione di quest’epoca di inquietudini e incertezze non può che trovare una forte condivisione da parte del terzo settore reggiano. Ma al tempo stesso apre a riflessioni importanti che dovrebbero mettere in discussione tanti, e forse soprattutto coloro che l’hanno sottoscritto.

Mi sorprende e mi amareggia scoprire che Reggio Emilia sia la nona città  in Italia per l’odio manifestato online, sia in generale che verso le donne (ricerca Wired). E non riesco a far combaciare questa immagine con quella che nelle mie esperienze di vita è la relazione con i reggiani. Non so se la mia analisi sia corretta, ma mi rispondo che i miei concittadini non odino così tanto e che forse il sentimento manifestato via web sia solo una strategia per sfogarsi e magari anche per avere un ruolo in una vita che forse non lo ha permesso a sufficienza. Allo stesso modo sono convinto che i reggiani, che tanto si lamentano della nostra città  e delle politiche di inclusione e di welfare, siano ben consapevoli del valore che hanno il vivere a Reggio Emilia e il nostro stato sociale.

Se davvero mettessimo in discussione le risorse che lo Stato assegna ai più fragili e che quindi finiscono per impoverirci tutti a “loro” vantaggio, non dovremmo ripensare solo alle risorse per i migranti, ma anche a quelle per i tossicodipendenti, per i pazienti psichiatrici, e poi proseguire con le risorse “sprecate” per i diversamente abili, per gli invalidi, per chi ha un sussidio di disoccupazione, per i troppi pensionati che tolgono le risorse ai giovani, per il sostegno nei periodi di maternità  o di malattia, e a tutta la sanità  che per permetterci cure professionali e garantite pesa in modo importante sulle risorse dello Stato. Dubito che ci sia davvero qualcuno che vorrebbe questo tipo di società.

Oltreoceano esiste qualcosa di simile, ma dubito fortemente che un reggiano farebbe volentieri a cambio. Così come credo che i reggiani siano consapevoli del valore della loro città.

Mi chiedo: tutti coloro che la criticano e se ne lamentano, si vorrebbero trasferire? In che città  italiana vorrebbero andare ad abitare per trovare le risposte alle loro domande? Credo che riflettendoci, ognuno sia consapevole delle positività  del nostro territorio e della società. Ciò non toglie l’importanza di un manifesto che ci aiuti a riflettere sul futuro che vogliamo. Ma sbaglieremmo se ci focalizzassimo solo su chi non firmerebbe questo appello, è piuttosto su chi ha firmato che vorrei riflettere. Io mi auguro che il manifesto non sia solo una sottoscrizione sui buoni propositi dei reggiani, piuttosto una dichiarazione di impegno e di cambiamento. Dev’essere l’atto con cui tutti formalizzano il proprio impegno a fare qualcosa di più per affrontare questa crisi epocale. Con la sottoscrizione del manifesto i Sindaci si devono impegnare a favorire forme di accoglienza sul loro territorio, non con le parole ma con fatti concreti, anche quando i propri elettori temono che la presenza di una struttura per tossicodipendenti, malati psichiatrici o migranti possa aumentare i disagi o deprezzare il valore delle abitazioni. Con la sottoscrizione del manifesto le Cooperative che gestiscono le accoglienze si devono impegnare a considerare tra i destinatari degli interventi anche i territori e chi li abita. Nella precarietà  delle risorse e nell’urgenza di dare risposte alle persone accolte, le cooperative non sono state sufficientemente capaci di dedicare la dovuta attenzione ai luoghi circostanti; grandi professionisti dell’accoglienza ed operatori molto competenti ma poco abituati a guardare il contesto più ampio e a volte persino infastiditi da chi non capisce la loro scala di priorità  nei problemi da trattare.

Con la sottoscrizione del manifesto i Cittadini si devono impegnare a “restare umani” e a farlo in ogni gesto quotidiano: col vicino di casa fastidioso, col collega antipatico, con la persona fragile che incontrano. E tutti, sottoscrittori o meno, dovremmo imparare a gestire le nostre insicurezze senza farle ricadere sugli altri, perché come scrisse Andrea Morniroli in un’epoca di inquietudini  e assenze di futuri certi “le persone tendono a rifiutare la fatica dell’ospitalità per affidarsi piuttosto alla facilità  del rifiuto, dell’indifferenza, dell’individuazione di nemici opportuni su cui scaricare la responsabilità  della propria precarietà  e delle proprie insicurezze”.

 

Matteo Iori, Portavoce del Forum del Terzo Settore.